porto_selvaggio_pDf_sfondi.pdf3.45 MB14/11/2016, 16:28
pdfTHE_NATURAL_PARK_OF_PORTO_SELVAGGIO.pdf3.33 MB14/11/2016, 16:29
PORTO SELVAGGIO
premessa
Il valore ambientale e la bellezza paesaggistica di Porto Selvaggio era stata riconosciuta dal Ministero della Pubblica Istruzione con decreto del 20 febbraio 1968. Nel 1975 la prof. Cecilia Santoro Lezzi docente all'Università di Lecce lanciò per prima l'allarme sul rischio lottizzazione di Porto Selvaggio. All'epoca l'area (circa 250 ettari) era proprietà del barone Angelo Fumarola che aveva presentato al Comune di Nardò un progetto di lottizzazione. Il progetto veniva presentato come strumento di sviluppo turistico e di occupazione nell'edilizia. Una parte dell'opinione pubblica di Nardò e del Salento, più lungimirante e sensibile alla salvaguardia dell'ambiente, manifestò contro il progetto che pur essendo approvato dalla Giunta dell'epoca (1979) fu bloccato dal Consiglio Regionale che optò per la destinazione a “Parco naturale di Porto Selvaggio” (L.R. n°21/1980).
La decisione scaturiva dalla considerazione che negli anni 1952/54 il Corpo Forestale dello Stato aveva rimboschito con fondi pubblici 102 ettari facenti parte dell'area di proprietà del barone Angelo Fumarola il quale in seguito (05/03/1972) aveva sottoscritto l'impegno “a non effettuare insediamenti turistici nei terreni rimboschiti”.
descrizione
Il parco è stato istituito ufficialmente con la legge regionale n.21 del 1980 che ha inteso salvaguardare 424 ettari di cui 230 di pineta impiantata agli inizi degli anni'50 dal Corpo Forestale dello Stato. Questo il nucleo iniziale dell'area salvaguardata dalla suddetta legge istitutiva: il perimetro è compreso tra la Masseria Madonna dell'Alto ed il promontorio di Torre dell'Alto (a nord della frazione balneare di S. Caterina), la strada litoranea che da Villa Tafuri giunge fino alla Masseria Torre Nova grazie all'apertura di apposita bretella di collegamento con la strada Brusca. Attualmente riunifica in un unica area il parco naturale attrezzato del 1980 e l'area naturale protetta della Palude del Capitano, già classificata dalla L.R. n.19 del 1997, un rilevante fenomeno carsico rappresentato da varie risorgive a forma di dolina colme di acqua salmastra, localmente dette spunnulate, che presentano una caratteristica vegetazione igrofila a Ruppia. L'area del Parco comprende 3 siti di interesse comunitario (SIC): Torre Uluzzo, Torre Inserraglio e Palude del Capitano nonché altre aree di interesse archeologico e paleontologico. La gestione del parco è affidata ai sensi della L.R. n.06 del 2006 al Comune di Nardò.
L'area originaria del Parco – quello istituito dalla legge del 1980 - è investita prevalentemente da conifere insediate su terreno calcareo poco profondo e a tratti roccioso; le scelte del rimboschimento sono da collegarsi oltre che alle citate caratteristiche geomorfologiche, al clima tipicamente mediterraneo – con siccità estiva prolungata e piogge autunno-invernali intense – a cui si adatta il pino d'Aleppo, albero particolarmente indicato per il rimboschimento di ambienti sterili litoranei nei quali anche la macchia a stento riesce a svilupparsi. Lungo i viali tagliafuoco che solcano la pineta troviamo numerosi esemplari di cipresso comune, mentre in prossimità della costa l'acacia protegge la pineta dalla salsedine portata dai forti venti marini. Sporadicamente s'incontrano anche esemplari di eucalipto, tamerice, pino domestico e leccio. Concomitante alla crescita della pineta si è sviluppata la macchia composta di piante arbustive sempreverdi anch'esse adatte a sopportare la siccità estiva.
In prevalenza lentisco (cespuglio a forma di cupola con il fogliame lucido e le bacche rossastre); il mirto (pianta aromatica con foglie ovali di un verde brillante); l'olivastro (olivo inselvatichito che si presenta spinescente e anche in forma cespugliosa); il cisto marino ( con rami e foglie vischiosi e fiori bianchi). Si tratta di piante che possiedono foglie coriacee, lucide, protette da una epidermide robusta praticamente impermeabile; oppure con foglie ridottissime, talora trasformate in spine per ridurre al minimo le perdite di acqua. Associata alla macchia una interessante vegetazione spontanea formata da asparago selvatico, timo dal forte odore aromatico, salvia, menta selvatica, luppolo, iris, malva, narciso invernale, ginestra spinosa, orchidea selvatica, e numerosi altri esemplari di una variegata flora.
LE TORRI COSTIERE Lungo i 7 chilometri di costa del Parco (tra la periferia nord di S. Caterina e la Palude del Capitano ) sorgono 3 torri di vedetta, da sud a nord: Torredell'Alto, Torre Uluzzo e Torre Inserraglio a queste si potrebbero aggiungere anche le due torri affiancate che costituiscono la Masseria di Torre Nova . Le torri erano un presidio della costa resosi necessario dopo che la presa di Otranto (luglio 1480) aveva messo in crisi il sistema difensivo medievale della città e reso urgente e indifferibile l'ammodernamento delle fortificazioni soprattutto lungo la fascia costiera. Nel 1532/35 Carlo V d'Asburgo decide di attuare un piano straordinario di difesa ordinando al viceré don Pedro da Toledo l'ammodernamento e potenziamento dei castelli di Otranto e Lecce e la costruzione di nuove torri costiere una in vista dell'altra posizionate strategicamente, in primo luogo per poter vedere il nemico che veniva da lontano. Strettamente collegate alle torri costiere le masserie fortificate che, come nel caso di Torre Nova, si sviluppano a partire da un nucleo originario costituito da una Torre d'avvistamento. La costruzione e manutenzione di una torre costiera gravava sui centri abitati situati nel raggio di 12 miglia (circa 19 Km.) dalla costa: questa era la fascia che poteva essere percorsa dagli assalitori a cavallo. Durante una incursione i pirati attaccavano quasi sempre dopo il tramonto e tentavano di ripartire all'alba. Pertanto il tempo a disposizione per razziare persone e cose era al massimo di sei ore. La rapidità di queste scorrerie spiega il perché si usassero accorgimenti architettonici come muri di cinta molto alti ( nelle masserie ) botole di collegamento con il piano superiore (nelle torri) e caditoie in asse su porte e finestre o sui punti di passaggio obbligato. Il corpo compatto, a base quadrata con mura scarpate come nel caso di Torre dell'Alto è comune ai sistemi difensivi adottati nei castelli.
( Scheda curata da Dr. Giuliano Rizzo Ufficio U.R.P. - Comune di Nardò )