Nardò ebbe origine fra XI / IX secolo a.C. da un insediamento di Messapi: popolo giunto in Puglia dall'Illiria (Dalmazia). L'importanza dell'antico centro messapico di Nardò è suffragata dalla cosiddetta Mappa di Soleto: un frammento archeologico del V secolo a.C. in cui compare il perimetro stilizzato del Salento con 13 nomi di città tra cui Nardò ( NAP in messapico). La conquista romana risale alla metà del III secolo a.C. e un frammento di statua romana è conservato presso la Biblioteca Comunale. Nei secoli che vanno dal VI all'XI la presenza bizantina lascia tracce profonde e i monaci sfuggiti alle persecuzioni iconoclaste vengono accolti anche a Nardò dove fondano la Chiesa di S. Maria de Neritono il cui perimetro si può ancora oggi vedere sotto l'attuale Cattedrale. Con l'avvento dei normanni Nardò viene concessa al Conte Goffredo di Conversano.
La città sarà poi schierata dalla parte degli svevi fino alla reggenza di Manfredi e per questo nel 1255 subirà l'attacco e la conquista angioina. Nel 1271 il conte Simone gentile sarà decapitato in piazza per aver ordito una congiura contro gli angioini. Nel 1484 la Repubblica Veneta dopo essersi impadronita di Otranto e Gallipoli conquista Nardò che non è militarmente attrezzata per resistere. Dal 1497 Nardò viene infeudata dagli Acquaviva di Conversano ed elevata a ducato. Tra gli Acquaviva si ricorda per le sue doti di umanista e mecenate il duca Belisario.
Agli inizi del'500 l'instaurazione del dominio spagnolo che si caratterizza, qui come in tutto il meridione, per un fisco oppressivo tanto da produrre un secolo dopo nel 1647 la rivolta che prende il nome dal suo principale artefice Masaniello. Epica la sollevazione anti-spagnola di Nardò che costringe il duca filo-spagnolo Gerolamo Acquaviva ad abbandonare la città in mano ai rivoltosi. Approfittando dell'assassinio di Masaniello e dello sfaldarsi dell'opposizione anti-spagnola Gerolamo Acquaviva (noto coll'appellativo di Guercio di Puglia) convince i neretini a deporre le armi con la promessa di non compiere atti di ritorsione. Smentendo se stesso il duca procederà alla rappresaglia con esecuzioni sommarie di chi riteneva potesse aver capeggiato la sommossa: fra i tanti verrà assassinato anche il barone Pietro Sambiasi. Gli Acquaviva protrarranno il loro dominio feudale fino al 1806.
A metà ottocento l'espansione oltre le mura medievali con l'interramento del fossato del Castello, e la realizzazione della via extra-murale. La legislazione eversiva della feudalità voluta dal potere napoleonico non fece cessare, in sostanza, il dominio feudale: questo spiega il perché ancora nell'aprile 1920 Nardò tornò a ribellarsi con braccianti, muratori e artigiani schierati contro lo strapotere dei latifondisti. Anche in questa occasione la rivolta fu repressa dall'arrivo dell'esercito regio dotato di autoblindato per sfondare la barricata eretta all'ingresso della città sulla via per Lecce. La sconfitta del movimento contadino anticipa di poco l'avvento del fascismo e dunque il perpetuarsi di sottosviluppo e repressione. Appena 30 anni dopo – superato il tragico ventennio fascista – la protesta dei braccianti a Nardò torna a farsi sentire con l'occupazione delle terre incolte dell'Arneo ( area ai confini tra Nardò e Taranto ). Questa volta è lo Stato democratico a muovere guerra contro i contadini costretti – è il caso di dirlo – alla macchia: quella fitta e folta d'Arneo, per sfuggire alla repressione. Ma da quelle lotte questa volta scaturì la cosiddetta legge stralcio: ovvero il primo concreto atto di riforma agraria con cui si arginava lo strapotere dei latifondisti.
( Scheda curata dal Dr. Giuliano Rizzo – Ufficio U.R.P. - Comune di Nardò )